Giovanni Valle interpreta "Percorsi" di Francesco Marino

Giovanni Valle interpreta "Percorsi" di Francesco Marino

Giovanni Valle nella originale interpretazione di "Percorsi", brano in otto quadri composto da Francesco Marino in omaggio alla memoria del compianto poeta e scrittore Giuseppe Bonaviri (1924-2009).

La seguente recensione del musicologo Cesare Marinacci 'percorre' la musica di Francesco Marino:

"La musica di Percorsi è nata d’impulso, come riflesso sentimento, alla notizia della scomparsa del grande scrittore Giuseppe Bonaviri (1924-2009). Francesco Marino ha voluto rendere un omaggio al poeta, originario di Mineo in Sicilia, che tanto ha donato, del suo talento, alla cultura ciociara ed al cui vivo ricordo è legato dall’affetto di una personale conoscenza. Lo spunto compositivo deriva da una meditazione sulla lirica “Il labirinto”, tratto da Il dire celeste, (Ed. Guanda, Milano 1979) del compianto artista, della quale vengono ripercorse ed interpretate le singole stanze poetiche. Campane all’alba, Raggi d’Acquario, I trapassati, Specchi di sassi, Maghi, Profezia, Infinito, Visioni questi i titoli, in maggioranza desunti proprio dai testi adottati, dei quadri creati da Francesco Marino immaginati non come illustrazione visiva, ma come conseguenza poetico-sonora della sollecitazione emotiva sprigionatasi dal verso. Ecco un aspetto assai significante della scelta formale, in otto brani e nove strofe: Marino immagina un’alternanza di testi e musiche con cui rappresentare non un commento ma la ‘schumanniana’ materializzazione del riverbero poetico in differenti espressioni artistiche. Campane all’alba si apre sui rintocchi di accordi slegati di cui presto risuonano gli armonici arpeggi, come in una visione che si espande. Raggi d’acquario evoca l’antica e statica sonorità delle quinte vuote, sul cui moto ostinato si libera invece il riflesso di una tenera frase melodica. Gioco sonoro, ne I trapassati, è il contrasto tra un disegno aereo e la sua materializzazione invece terrena, più pesante, da cui rifuggire. Un cammino melanconico nel quadro Specchi di sassi di cui si apprezza il ventaglio ritmico e l’ostinazione armonica che infine si risolve come un interrogativo. Lirica l’idea melodica, in Maghi, sembra la liberazione dello spunto esposto ne I trapassati; essa si eleva in un pianismo risonante che tuttavia presto s’interrompe lasciandoci volutamente inappagati di ciò che poteva essere… Misteriose le armonie del successivo brano, prima esitanti poi volitive ed allusive come il titolo: Profezia. Brahmsiano nella scrittura il settimo quadro, Infinito, meditativo eppur sereno nella sua non conclusività. Un vero notturno velato di desiderio è Visioni, ultimo brano, il più ampio ed elaborato della serie, di cui conserva la voluta incompiutezza complessiva; allo stesso tempo riassume i vari elementi, da quelli timbrici a quelli polifonici, offrendo a quelle precedenti ‘domande’ una, pur non definitiva, risposta. I quadri nella loro eterogeneità sono appunto dei vagheggiati ‘percorsi’ attraverso il contenuto immaginifico delle stanze, autonomi eppur legati dal filo poetico, da un medesimo afflato creativo ed una coerenza idiomatica che non viene mai meno nei lavori del compositore napoletano. Per le ragioni succitate l’opera, ad un tempo, è simbiotica al testo, eppure non essendone comunque una mera illustrazione, risulta emancipata nella sua singolare espressività, tanto da essere spesso eseguita senza la voce recitante; in particolare l’ultimo quadro, Visioni, rappresenta un ideale compendio da cui traspare anche l’interpretazione personale di Marino, sulla commovente poesia di Bonaviri, cui pare ben adattarsi l’acuta sintesi dello scrittore Italo Calvino (1923-1985) quando afferma “La poesia di Giuseppe Bonaviri esplora i territori di un’antichissima, variopinta, vertiginosa allegria metafisica, attraversando luoghi mitici e cosmici di una Sicilia come sarebbe se gli Arabi vi fossero rimasti. Una poesia dai tratti peculiari, irriducibile a correnti e schemi del presente, volta a guardare all’indietro verso una filosofia naturale dominata dalla classificazione degli umori e dalle virtù delle pietre…” L’intero lavoro, fin dalla scelta realizzativa, esprime anche un sentimento di profondo rispetto ed umiltà che il compositore ha avuto nell’avvicinarsi alla voce di Bonaviri ed alla sua profondità, ben descritta nel commento del saggista Giuseppe Quadriglio: “Sembrava che lo scrittore di Mineo conoscesse il codice indispensabile per tradurre il segreto linguaggio della natura e delle cose...” . Francesco Marino dunque desidera che quel codice risuoni solitario e intraducibile, che quella voce sia affidata alla sola recitazione, bastevole a se stessa del suo inerente elemento fonico e, solo successivamente, omaggiata devotamente dagli strumenti; tant’è che l’opera termina con il solo testo, perduto nel silenzio: un’ultima strofa, dischiusa, chissà, forse verso l’avvenire di una ulteriore o dissimile sublimazione".

Cesare Marinacci