Opera discografica "Riflessi"

L’Opera discografica “Riflessi” è stata distribuita in Italia in allegato alla rivista  "Suonare news".

Patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il CD “Riflessi” comprende brani sinfonici, da camera e per pianoforte solo, eseguiti da interpreti di prestigio. La recensione dei brani è stata curata dal critico musicale Luigi Fait. 

  

 

editore rivista “Suonare news” Filippo Michelangeli
presentazione del CD “Riflessi” (n. 161, maggio 2010) 
 

Che cosa significa scrivere musica classica alle soglie del terzo millennio? Una risposta arriva dall’album Riflessi di Francesco Marino, 39enne musicista napoletano con alle spalle rigorosi studi di composizione e pianoforte presso il Conservatorio di Frosinone. Quattordici brani scritti per diversi organici strumentali, dal pianoforte solo all’orchestra sinfonica, in un linguaggio neoromantico che abbandona convintamente la dissoluzione tonale in cui la musica occidentale è precipitata nella seconda metà del secolo scorso.

Marino cerca di raggiungere il lato emotivo dell’ascoltatore, guidato da un’ispirazione fresca e sincera e da una scrittura musicale che asseconda le caratteristiche idiomatiche dei diversi strumenti e della voce. Suonare news, un mensile da sempre a fianco dei musicisti, ha accolto volentieri una proposta artistica che oggi appare persino coraggiosa, in uno scenario musicale dominato da compositori che guardano con inspiegabile indifferenza - a volte addirittura con fastidio - il riscontro e l’approvazione del pubblico e degli stessi musicisti. Non è la prima volta che Suonare news propone l’opera di compositori contemporanei. Era già accaduto in occasione del n. 100 (novembre 2004) con la spettacolare parafrasi jazzistica di Sandro Cerino de Le quattro stagioni di Vivaldi e nel n. 122 (novembre 2006) con un cd monografico dedicato all’arte sopraffina del musicista trevigiano, ma torinese d’adozione, Sandro Fuga (1906-1994). I compositori contemporanei devono cercare la vostra attenzione. Ma lasciate una finestra sempre aperta alla loro musica.  

 Filippo Michelangeli   

 

critico musicale Luigi Fait
recensione brani relativi al CD “Riflessi”

Oiziruam: Caduti di Nassiriya
È questo il pianto sulle tombe dei 19 italiani caduti nel vile attacco del 12 novembre 2003 in Iraq. Sono lacrime che sgorgano abbondanti dalle 62 battute composte da Francesco Marino nel 2005. Ascoltate adesso, si riversano nei nostri occhi: nuovo, inevitabile, forte e psicologico principio dei vasi comunicanti. Non si tratta certo di piagnisteo, di urla rabbiose, di segnale vendicativo. Le due didascalie del brano sono esplicite: Con devozione all’inizio e Largo struggente verso la conclusione. Alla resa di così dolorosa e vorrei dire mistica pagina provvedono 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti e l’intera famiglia degli archi, a cui s’aggiunge, sorretta appena da un sussurrato “mi” sotto il rigo dei contrabbassi,  la voce del recitante, che, a mo’ di appello, elenca ad uno ad uno i nostri martiri.

Sin dall’esordio tematico del fagotto, mi sovvengono le parole di Schönberg sul letto di morte, di quello stesso padreterno che aveva insegnato a sconvolgere le secolari leggi dell’armonia con tanto di sofisticatissima architettura dodecafonica. Sappiamo che prima di spirare, a Los Angeles il 13 luglio 1951, Arnold Schönberg (pentito?) aveva confidato: “Cari amici, c’è ancora molta musica da scrivere in do maggiore”. Con ciò egli intendeva sicuramente dire: “in qualsivoglia tonalità e modalità della tradizione occidentale”.

Dopo più di mezzo secolo e dopo gli estenuanti esperimenti d’avanguardia di troppi arditi colleghi, arriva anche Francesco Marino a scegliere per i nostri eroi un pacato “mi minore”. Geniale intuizione, a cui va il nostro grazie sincero, dato che in tal modo la sua partitura non necessita di elucubrate analisi, di dubbiosi esecutori, di sofferenti ascoltatori. Neppure di critici in affanno.

Partenope
Attraverso questo breve lavoro sinfonico l’Autore si piega nuovamente alla nostalgia e alla tenerezza  coniugate con il linguaggio tonale dei nostri padri. Non a caso, l’unica didascalia sulla prima e sulla terza parte della composizione è Espressivo con affetto: ambedue intitolate Genesi e separate, ma senza soluzione di continuità, da 58 battute per soli archi chiamate La Rinascita. Se molte appaiono le modulazioni armoniche, la gran parte dell’opera gravita però intorno al re minore, che sfocia infine in un rasserenante fa maggiore. Il lato nostalgico, tra accenti e sospiri di estrema tristezza, par già di coglierlo nel titolo Partenope ossia in una sorta di film che ci rimanda all’antica e bellissima sirena residente sulle coste del Golfo di Napoli. 

Sì, Francesco Marino rende qui omaggio alla sua città natale e nella sua mente s’affacciano, forse inconsciamente, tre inquietanti leggende: Partenope che fugge con un uomo greco verso isole sconosciute; o schiantata dallo spasimo per essere stata rifiutata da Ulisse; o che muore a Castel dell’Ovo. All’ispirato incipit del corno inglese si susseguono le angoscianti botta e risposta tra i vari strumenti.

Di frase in frase, siamo colpiti da vibrazioni che ci regalano pensiero, poesia, socialità. E non abbiamo l’urgenza che qualcuno ci indichi dalla cattedra il percorso di Marino. Lo sentiamo e lo apprezziamo da soli, anche perché egli si distacca dai mastodontici organici dei pur osannati Berlioz, Wagner, Richard Strauss, Bruckner o Mahler, i quali, per dire “ti amo” (mi si perdoni l’insolenza), non potevano fare a meno di grancasse, di tromboni, di un esercito di violini, di viole, di violoncelli, di contrabbassi, addirittura di campanacci delle vacche se non di colpi di martello e di cannone. A Francesco Marino basta un flauto.                                                

Studio-improvviso à la manière de Franz Liszt
Chi non ha mai scritto musica “à la manière de…”? Ci hanno provato un po’ tutti i compositori, specie i francesi. E in tutte le epoche. Senza la specifica indicazione “à la manière de…”, molti ne hanno fatto un esercizio vincente, dichiarato o sottinteso, sia nelle aule accademiche sia in sede squisitamente concertistica, persino fieri di esibirsi “à la manière des oiseaux” (clavicembalisti e Messiaen in testa). Taluni, applauditissimi, vi si sono sollazzati, indifferenti alle eventuali contestazioni di plagio: da Bach a Schumann, da Mozart a Paganini, da Ravel a Ysaÿe, da Saint-Saëns a Respighi, da Busoni a Casella. Tale pratica incanta anche Francesco Marino che, con la magistrale interpretazione del pianista Roberto Plano (mani, mente e cuore spettacolarmente acconci) ci dona uno Studio-improvviso à la manière de Franz Liszt.

Stesa in un solare Re maggiore, la pagina si muove tra inchini al Maestro ungherese e personali atletismi. Tranne generosi svolazzi e possenti ottave lungo tutta la tastiera, il nostro Autore evita tuttavia gli enfatici passaggi di note ribattute nonché i ridondanti abbellimenti di molti romantici modelli, ebbri di “Sturm und Drang” (Mazeppa, Fuochi fatui, Tormenta di neve ecc.), contentandosi - si fa per dire - di creare una collana di archi melodici e armonici di più immediata e semplice costruzione.

Affreschi
Il precedente Studio-improvviso abbisognava, eccome, di frequenti suggerimenti agogici e dinamici: Lento - Rallentando - A tempo - Cadenza - Con affetto (poteva mancare?) - Affrettando – Precipitando - Con enfasi, come un ricordo lontano - Appassionato - Sostenuto assai, con abbandono - Dolce misterioso… Ci stupisce perciò che la partitura dei pur brevissimi Affreschi sia invece orba di didascalie. Neppure l’ombra. La realtà è che gli interpreti, particolarmente il flautista, il clarinettista e il chitarrista - serviti “su letto di archi”, per dirla con i big della nouvelle cousine -  non ne hanno alcuna urgenza. Gli basta dare uno sguardo alle note (in un malinconico re minore) per intuire la volontà di Francesco Marino. Trionfano qui la schiettezza e la concisione.

Resta la voglia di sentirli e di risentirli questi Affreschi, usandoli per esempio a mo’ di sigla al termine delle nostre fatiche quotidiane: quasi un salutare massaggio o tenera ninna-nanna in tempo ternario, consigliabile anche per cullare i nostri figli e nipotini. Qui la mestizia non è fine a se stessa. Io la considero addirittura come una carezza, che, pur priva all’esterno di sorriso, te lo fa vivere dentro, nel più profondo.

Ricercare
Negli anni di conservatorio Francesco Marino si è perfezionato in composizione, in pianoforte e in strumentazione per banda. Tra i più importanti frutti di tali studi spicca certamente il Ricercare (2008), ove egli riesce a concentrare con la massima libertà e in poco più di nove minuti la plurisecolare dottrina contrappuntistica tedesca e mediterranea, affidandone il monumentale spettro acustico al pianoforte, a sette ottoni (2 corni, 2 trombe, 2 tromboni e una tuba), a 3 violoncelli e a 4 contrabbassi. Il corpo sonoro è inusuale, austero, imponente, sapientemente articolato onde trascinarci in una sorta di cattedrale onirica: gotica e barocca insieme, solenne, adatta ad una creatività peculiare dei veneziani Gabrieli, del ferrarese-romano Frescobaldi, del teutonico Bach. Si avvertono pure le conquiste dei futuri Stravinskij e Hindemith.

L’Autore confessa di aver qui citato il "Recercar cromaticho post il Credo" dai Fiori musicali di Frescobaldi. Come se non bastasse, tra vari procedimenti che, senza esserne lui schiavo, richiamano la tecnica della fuga, dell’imitazione, del canone e di altre “diavolerie” formali, fanno capolino le quattro note Si bemolle-La-Do-Si bequadro (proposte nei dodici semitoni della scala cromatica) che nella notazione alfabetica tedesca corrispondono esattamente al nome di B-A-C-H. Anche queste vanno considerate “à la manière” di quell’abate Liszt che sul nome del “Cantor di Lipsia” aveva creato superbi lavori organistici e pianistici.

Caporetto
Francesco Marino s’innamora, sì, volentieri del pentagramma antico, ma - da fedele carabiniere - ama pure la storia patria, compresa quella delle più amare disfatte, conscio che sia opportuno tenersi alla larga dalle marce trionfali. Ne è prova la sua intimissima pagina Caporetto: 2 minuti e mezzo per quartetto d’archi. Attraverso il linguaggio della più pura musica cameristica, egli rammenta il sanguinoso scontro (dodicesima battaglia dell'Isonzo) della prima guerra mondiale tra il Regio Esercito Italiano e le forze austro-ungariche: tragico evento datato la notte tra il 23 e il 24 ottobre del 1917 con le nostre truppe ferocemente massacrate. La scelta di soli due violini, della viola e del violoncello aiuta l’Autore ad elevarsi sopra la sconfitta, a commentarne devotamente le fitte, a coglierne la dignitosa rassegnazione.                                                

Sogno
Quest’antologia di Francesco Marino racconta di un maestro che crede nei valori dello spirito e che ha bisogno di condividere con la gente le proprie aspirazioni e meditazioni e riflessioni e dubbi e sogni. Sogno si chiama appunto il brano colmo di melodia, ora nelle mani del pianista Giovanni Valle. Sono battute intrise di romantica mestizia e che potrebbero anche intitolarsi Perché?, ricollegandosi dunque a due celebri capolavori schumanniani: Träumerei (Sogno) e Warum? (Perché?). In sol minore, con sapide dissonanze e continue modulazioni, la pagina, ritmicamente inquieta tra i 4/4, i 3/4 e i 2/4, non si conclude sopra uno scontato accordo di tonica, bensì su una timida “sensibile” (un “fa diesis” centrale): quasi punto interrogativo oppure lirico richiamo alla “sola… perduta… abbandonata” della pucciniana Manon.

Ricordanza
Dedicata agli esecutori Luca Pincini e Gilda Buttà (violoncello e pianoforte) e con un’unica didascalia (“Visionario”), Ricordanza si riallaccia tematicamente ai Caduti di Nassiriya. Lo stato d’animo del compositore è palese e il nostro ascolto assai tranquillo, anche se sulla carta questa potrebbe sembrare la più complessa delle pagine del cd. Vi si macinano dissonanze a piene mani, soprattutto sul pianoforte.  

Sono impasti di note che la letteratura aveva sinora risparmiato al tastierista, sollecitato viceversa qui a superare le difficoltà di una diteggiatura tutta da escogitarsi, estranea infatti alle posture consone agli allenamenti d’ogni epoca: da Scarlatti a Beethoven, da Chopin a Rachmaninov, da Prokofiev a Boulez. In quest’impresa l’interprete è giocoforza obbligato alla scoperta di inedite diteggiature. Ci conforta che Gilda Buttà ne esca serenamente, anche se, abbracciata al violoncello di Luca Pincini, ella recita le rimembranze di Marino  con gli occhi e il cuore incollati ai lutti della guerra, tra visioni soprannaturali e concrete allucinazioni. Attraverso sussulti drammatici, nella Ricordanza ci si mostra la fotografia della cruda realtà vissuta dai nostri soldati in Iraq. Ci accorgiamo presto che Francesco Marino non è in definitiva un sognatore, bensì un musicista chino sul proprio diario ancor fresco d’inchiostro.
                                   
Fantasia
La Fantasia per orchestra d’archi composta nel 2008 è una deliziosa creatura con il DNA dei Puccini, Mascagni, Martucci, Respighi, Casella, Ghedini, Pizzetti…e simile per i colori al Ciaikovski del Souvenir de Florence (1880). Sebbene vi s’avverta anche la presenza del bavarese Max Reger, questo pentagramma si differenzia dalle serenate, dagli intermezzi e dalle suites tanto teutoniche quanto della scuola italiana novecentesca e del Genio russo di Votkinsk. Marino si ribella qui apertamente a qualsivoglia costrizione ritmica e ad altrettante convenienze armoniche. Sia sufficiente dare uno sguardo alla partitura, in cui febbrilmente si alternano battute in  5/4 , 4/4, 3/4, 2/4, 6/4. Incredibili addirittura qua e là i 2/4 + 1/8 o – come nella terzultima misura – l’1/8 + 2/4.  Si ha l’impressione che l’Autore voglia evitare che qualche coreografo si picchi di inventarsi passi teatrali sopra tale sua Fantasia (rovinandola, appunto), fatta di casto pensiero in suoni, lungi dalle luci della ribalta e dall’esibizione fine a se stessa.                                                                                                                        

Silenzio

Silenzio
Ineffabile soffio
Tra il cielo e la terra mi tendo…
E mi perdo

È questo il seducente testo di Amedeo di Sora (tra i fondatori, nel 1977, del giornale-manifesto "Papesatan") affidato a due soprani e ad un mezzosoprano, che, “coccolati” da un quartetto d’archi,  innalzano un’accorata preghiera servendosi della secolare tecnica madrigalistica dei Palestrina, Monteverdi, Gesualdo da Venosa. Si ha la riconferma che Francesco Marino non sa staccarsi dalla tradizione, che parla alle nostre coscienze, che voci umane e strumenti sono per lui i mezzi più efficaci per indirizzarci a mete morali e spirituali di questi giorni purtroppo trascurate se non diabolicamente oscurate. L’applicazione del contrappunto, della cosiddetta “imitazione”, degli intrecci polifonici più elucubrati non ostacolano la sua alta missione umana e artistica. Al contrario, essa giova al suo nobile scopo. Il dialogo fra le tre cantanti è fitto ma non ingombrante, è ardente ma non scotta, è pomposo ma anche estremamente raccolto.

Pax aeterna
Pax aeterna è una sorta di rebus. Inizialmente auspicata dai dialoganti primo violino e violoncello, presto in compagnia del secondo violino e della viola, questa “pace” non ha il contorno di quella che tutti - dal Pontefice al più modesto dei credenti - auguriamo quotidianamente ai nostri defunti. Inginocchiati in chiesa, inchinati sui sepolcri del cimitero, spesso tra le pareti domestiche, recitiamo forse “Requiem” così strazianti piuttoto che consolatori?  Constatiamo che su Francesco Marino cala dunque qui una sconcertante parentesi di pessimismo, con quei dubbi che hanno condizionato spesso e volentieri anche la scrittura dei massimi compositori. Interpretata dal Quartetto d’archi “Refice”, si tratta di una “pace” per adesso ancora poco probabile e con accenti di lugubre attesa. Dio non voglia di vana speranza. Grazie particolarmente alla scelta (a lui sovente utile) di frenetica alternanza tra ritmi binari e ternari, l’Autore ne sottolinea il respiro, il singhiozzo, la tensione. Quale “pax”?

Dis-animo
Dis-animo:
la direi una divertente provocazione da parte di un artista qual è il Marino. In 58 battute egli sembra dare il benservito ai sentimenti che gli erano propri. Molla un calcio alla grammatica, alla sintassi, alle regole, al galateo, agli archi melodici, ai ritmi e alle armonie a lui familiari. E prova a disorientarci sin dal titolo, che non è mica “disanimo” (indicativo, prima persona del verbo “disanimare”), per significare che sarebbe magari suo proposito privarci di eventuali aggressività. Fino a sfiduciarci completamente. Vieppiù ci confonde il prefisso “dis” in rottura con animo. Un “dis” che non sai se voluto a guisa di prefisso peggiorativo (tipo “disaccordo, disadatto, disadorno disagiato…”) oppure come prefisso di mera opposizione, quale risulterebbe nel caso di “disonore”.  Assistiamo alla sfiziosa corsa d’un classico quartetto d’archi nel campo dell’atonalità e dell’anarchia ritmica: spettacolare linguaccia al trio Schönberg-Berg-Webern, con bruschi effetti “sul ponticello”, con scanzonati “glissando” e (quando meno te l’aspetti), con irriverenti “pizzicato”.
                                                                                                                               
Valzer sentimentale
Illustrato il Dis-animo come uno sberleffo, vorrei spiegare questo Valzer sentimentale come una gita fuori d’Italia e fuori pure di quelle terre austro-ungariche in cui nacque il mitico “ùn-due-tre”. Infatti, il profumo non è qui del Danubio e tanto meno degli Strauss, bensì della Senna. Subiamo la magia di Montmartre, del Moulin Rouge, dei celebri templi della musica leggera, della danza, del cabaret. Ignoro se ciò sia stata l’intenzione di Francesco Marino, ma comunque l’effetto è che al suono del suo bayan e del suo pianoforte compaiono e si alternano Edith Piaf, Frank Sinatra, Yves Montand, Josephine Baker, Georges Auric, Joaquín Rodrigo attorniati peraltro dai fantasmi di Degas, Van Gogh, Renoir, Picasso… Probabilmente, tale sottile suggestione francese scaturisce dalle ance del bayan (fisarmonica di origine russa) al posto delle corde della viola, per le quali questo Valzer era pur stato originariamente concepito. E se mancano qui i boccali di birra, la Sachertorte, le botte d’allegria del Prater o del Musikverein, ci coglie la nostalgia di serate alla Dom Perignon.

The rose
Senza tradire i copiosi riferimenti storici di questa stessa raccolta, l’eclettico Francesco Marino ci saluta con un vero e proprio abbraccio jazz espresso da un caldo sassofono, da un fraterno pianoforte, da un amorevole contrabbasso e da una tranquilla batteria. È l’addio dato con una rosa in mano (The rose), sicuramente trasmettendoci amore, passione, purezza, fascino, dolcezza. 

                                                                             Luigi Fait